Naufraghi senza volto by Cristina Cattaneo
autore:Cristina Cattaneo [Sconosciuto]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Raffaello Cortina Editore
pubblicato: 2018-11-18T23:00:00+00:00
6. Melilli
Una morgue sul mare
I miei contatti con la Difesa si erano sempre limitati agli occasionali casi giudiziari condivisi con il RIS (Reparto Investigazioni Scientifiche) dei Carabinieri, prevalentemente di Parma, a volte di Roma o di Messina, a seconda dei casi. Qualche volta mi ero interfacciata anche con l’Esercito per le indagini riguardanti alcuni scomparsi di cui si cercava il cadavere. Erano state sempre collaborazioni sporadiche, seppure molto piacevoli per i modi professionali, garbati e rispettosi delle persone e delle situazioni. Il mio primo incontro con la Marina Militare fu a Melilli, un piccolo comune sulla costa siciliana tra Catania e Siracusa, vicino a Augusta, nel bel mezzo del polo petrolchimico che caratterizza quel tratto di costa dove è situata, presso un pontile NATO, una base militare italiana.
A seguito di una serie di riunioni ai vertici, si era deciso che quel luogo sarebbe diventato l’obitorio che avrebbe provvisoriamente ospitato le vittime del disastro del 18 aprile, una sorta di morgue sul mare. Il Commissario, per telefono, ci aveva descritto minuziosamente la sede, che ci parve immediatamente adatta alle nostre attività: ampi spazi dove gestire i cadaveri lontano da centri abitati, camerate dove dormire e una mensa che, scoprimmo poi, sfornava ogni giorno pietanze gustosissime, anche per vegetariani. Cosa chiedere di più? Non mi sembrava vero.
La Tremiti, nel frattempo, continuava a scandagliare il fondale intorno al relitto, raccogliere cadaveri e stoccarli nei refrigeratori a bordo. Una volta che questi fossero stati riempiti, o che la nave fosse rientrata in porto per altri motivi, i morti sarebbero stati trasportati a Melilli, dove ci saremmo recati a breve per fare le autopsie affinché si procedesse alla sepoltura. Si trattava quindi di lavorare a “lotti” fino all’esaurimento delle salme. Queste missioni assunsero ben presto l’appellativo di “Melilli”. E Melilli 1 si sarebbe svolta nel mese di agosto, poche settimane dopo l’esperienza di Catania. Un sabato mattina mi telefonò infatti un ammiraglio – la cui voce, da quel momento, sarebbe diventata per me molto familiare – che mi annunciò: “Abbiamo raccolto circa quaranta salme; ci dice quando potete scendere?”. Avevo già messo in allerta i vari direttori degli Istituti di Medicina Legale delle università di Catania, Messina e Palermo, per i quali le indagini sui migranti morti non erano certamente una novità. I miei colleghi siciliani, a turno, ci avrebbero accompagnato in questa lunga avventura, e in loro avremmo trovato non solo validissimi collaboratori ma anche splendide persone.
“Come ci organizziamo?”, chiesi a Pasquale e al Porta. Entrambi erano d’accordo sul fatto che, in questa prima occasione, siccome non sapevamo esattamente come si sarebbero svolte le cose, saremmo scesi con un furgone: questo ci avrebbe permesso di trasportare persone, materiale, strumentazione per le autopsie e per i prelievi, nonché di essere autonomi negli spostamenti. Scelsi di far dormire “la truppa” a Catania, non alla base militare, che non conoscevo ancora: pensavo che dopo un’intera giornata in mezzo ai morti, staccare e svagarsi la sera nell’aria della città sarebbe stato meglio per tutti. Fortunatamente i colleghi di
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